I primi 100 giorni del buon governo

I primi 100 giorni del buon governo

L’articolo di Umberto Cao (Architetto progettista, professore ordinario di Composizione architettonica e urbana, preside della Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno (Università di Camerino), membro del coordinamento di “TuttixRoma” pubblicato sul sito Primarie Roma2021


Una delle ragioni per le quali è tanto difficile per le forze di sinistra individuare un(a) candidato(a) sindaco(a) che abbia la forza, ma anche il coraggio di affrontare i problemi di Roma, è che questi problemi negli ultimi anni si sono incancreniti nel corpo della città, tanto da far nascere dubbi anche tra i più determinati. Non che non ci siano personalità in grado di fare il sindaco – da alcuni protagonisti della politica nazionale a figure istituzionali della politica locale e dei municipi, sino alle personalità emergenti dal campo fecondo delle associazioni cittadine e della società civile – ma quasi tutti i possibili candidati tacciono come in un surplace di corsa ciclistica, nella quale si rimane fermi in equilibrio sui pedali, pronti a scattare bruciando il tempo all’avversario.

Una seconda ragione di questo stallo è che non sono chiare le alleanze tra partiti, che rischiano di subire condizionamenti dagli alti e bassi del flirt PD-M5S, e dalle ricadute di questa alleanza nazionale sulle prossime elezioni regionali. Ma se ne possono elencare altre, ad esempio la possibile ricandidatura di Virginia Raggi che bloccherebbe qualunque accordo dei 5 Stelle con il Partito Democratico, oppure la ambigua e fragile alleanza tra questo partito e le nuove formazioni politiche liberal-progressiste (Renzi, Calenda, ecc…). Naturalmente nessuno dei leader di questi partiti esclude una ampia convergenza elettorale delle forze riformiste e progressiste, ma al tempo stesso nessuno prova a costruire i caposaldi di una coalizione.

Di fronte a questa farraginosa e desueta macchina delle alleanze tra partiti, appare persino più omogeneo e unito l’associazionismo civico di area progressista – sebbene tradizionalmente diversificato – che in sostanza chiede all’unisono: si uniscano le forze progressiste di sinistra o centrosinistra, dentro e fuori dei partiti, e si vada, quanto prima è possibile, alla scelta del(la) candidato(a) sindaco(a), oppure, come nello spazio che ospita questo scritto, a primarie di coalizione. Il Partito Democratico, per sue tradizioni e come primo partito del centrosinistra, ha la maggiore responsabilità nel promuovere questa seconda ipotesi, con i suoi candidati e accettandone altri esterni. Ma una cosa deve essere chiara: chi vince le primarie deve avere il voto di tutti.

Cosa accadrà dopo?

Ma allora, supponendo che questa prospettiva vada a buon fine, cosa accadrà dopo? Come dovrebbe agire un(a) sindaco(a) espressione di un ampio consenso civile? Insomma su cosa dovrebbe misurarsi subito la nuova amministrazione? In altre occasioni ho scritto che esistono dei fondamenti generali per il “buongoverno” della città, riferendomi soprattutto al campo della qualità fisica e ambientale di Roma. Recentemente il coordinamento del gruppo civico Tutti per Roma, Roma per tutti ha ampliato l’osservazione individuando sinteticamente cinque tematiche per un programma di governo della città, più una che le rende tutte più facilmente attuabili: vale a dire la revisione della governance, perché i quattro livelli gestionali di oggi sono troppi per una metropoli come Roma. Regione, Roma capitale, Città Metropolitana di Roma e Municipi non costituiscono una catena virtuosa di determinazioni amministrative, ma un contraddittorio sistema di intralci e lentezze operative (basti ricordare i rimpalli tra Regione Lazio e Roma Capitale per quanto riguarda il problema dei rifiuti). Occorrerà quindi riscrivere gli statuti, diversificare le competenze e decentrarle per quanto possibile. L’esigenza è condivisa a sinistra, ma la strada da percorrere è complessa: nuove disposizioni legislative oppure un sistema di accordi interni e deleghe?

Ma veniamo ai cinque ambiti che in qualche modo raccolgono i principali problemi di Roma. Chiarisco che non corrispondono a suddivisioni territoriali o sociali, per intendersi periferie, centro, benessere, disagio, lavoro, disoccupazione, ecc… ma temi diffusi sul territorio, che interessano la città nella sua complessità. E sono: Ambiente, Cultura, Qualità urbana, Attività produttive e Tessuto sociale. Non li approfondisco qui, ma invito a leggerli sul sito di Tutti per Roma, Roma per tutti dove sono articolati come punti di avvio di un programma elettorale. Ma per mandare un segnale immediato di operatività, è possibile individuare alcune azioni immediate? Ovvero cosa fare nei primi 100 giorni di governo di Roma? Tra mille dubbi provo ad esprimermi, con tutti i limiti della mia conoscenza incompleta delle tantissime emergenze della città. Ma, appunto, non vorrei parlare delle emergenze – ad esempio del problema della raccolta e smaltimento rifiuti o delle municipalizzate, ma neppure delle attuali condizioni post-covid – non tanto perché sono priorità già ampiamente condivise, quanto perché credo debbano essere avviate subito anche altre iniziative, quelle che creano condizioni favorevoli per lo sviluppo dell’attività amministrativa dell’intero quinquennio. Insomma, fare subito quello che occorre per acquisire strumenti che possono servire per cinque anni.

In questo senso la prima misura della nuova amministrazione di Roma Capitale dovrebbe essere la costituzione di tavoli di lavoro con le nuove amministrazioni municipali e l’avvio di un percorso che porti alla stipula di accordi interni e deleghe per il decentramento. Successivamente, in un ulteriore giro di incontri tra amministrazione di Roma Capitale e le 15 amministrazioni municipali, i cinque ambiti prima citati dovrebbero essere esplorati nei singoli municipi, estraendone le priorità in modo incrociato. Ad esempio, il problema della casa probabilmente riguarderà territori municipali più periferici, ma, secondo il principio di non realizzare più case popolari emarginate e circoscritte e in funzione della possibilità di recuperare manufatti abbandonati, si potranno individuare spazi o immobili più centrali; ecco dunque che il dialogo si svilupperà su due fronti municipali distinti, conciliando necessità diverse. Un altro esempio di confronto tra municipi può riguardare la mobilità che concretamente li relaziona; o la cultura, per alleggerire la pressione anche turistica sul centro storico incentivando virtualità decentrate; o ancora il sistema di raccolta e primo trattamento dei rifiuti liberandolo dai condizionamenti nimby. Insomma la valorizzazione dei municipi definendo autonomie e compiti (oggi lo statuto dei municipi è vago e apre conflitti di competenze) può essere uno dei primi impegni per il buongoverno della città.

La seconda misura è l’ascolto delle voci del territorio. Anche in questo caso è necessaria la costituzione immediata di tavoli di lavoro e anche qui si può ripartire dai temi fondamentali di cui ho già parlato. Personalmente credo alle competenze. Non credo alle voci gridate e spesso condizionate da problemi locali (in questo caso l’interlocutore sarebbe il municipio), così come non credo ai tanti luoghi comuni che, ad esempio, aggrediscono ogni iniziativa di trasformazione urbana convenzionata tra pubblico e privato. Insomma Roma deve essere liberata dai lacci dei veti incrociati che ne fanno una città immobile, prigioniera della sua storia e della sua bellezza, tenuta lontana da quella modernità, giammai in conflitto con l’antico, che si deposita nella memoria collettiva. Allora occorrono le voci innovative, le migliori componenti del terzo settore, le energie dei giovani e delle associazioni che in questi anni hanno formulato proposte. Roma nei prossimi 5 anni deve diventare una città realmente europea.

La terza misura necessaria è quella di avere un quadro completo delle azioni svolte o mancate dalla amministrazione uscente, senza pregiudizi né rivalse, ma con l’intenzione di operare per il bene della città. Basta una sommaria ricognizione delle città italiane – Milano ad esempio – per verificare come sia necessaria una continuità tra amministrazioni diverse senza spezzare quel filo rosso delle buone cose fatte, che vale molto di più delle differenti posizioni politiche. L’amministrazione Raggi ha mancato molti degli impegni presi e aperto nuovi problemi, ma, ad esempio, l’approvazione del PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) di un anno fa ha posto le premesse, in gran parte condivisibili, per una scelta di campo in favore della mobilità pubblica. Queste vanno seguite e rafforzate. Al tempo stesso vanno esaminate le iniziative avviate e poi decadute in occasioni mancate, alcune dovute alle preclusioni ideologiche (vedi problema dei rifiuti), altre alla incompetenza (bandi di gara, lavori pubblici, cantieri fermi), cercando di rimettere in moto l’inceppata macchina amministrativa, anche su quell’”ordinario” conclamato dalla sindaca uscente come esigenza primaria e mai saputo gestire.

La quarta misura immediata (e qui mi fermo) è quella di non ascoltare le voci che non hanno nulla a che vedere con il buongoverno della città: le pressioni dei partiti su posti e nomi, il clientelismo che prepara la corruzione, il corporativismo che sostituisce i diritti sul lavoro, i pregiudizi ideologici, la sfiducia nella competenza, la presunzione della incompetenza, il populismo che appiattisce, il sovranismo che si oppone alla accoglienza.

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